Si inaugura qui una rubrica sulle “politiche alimentari”.
Le politiche alimentari in Italia non esistono, se intese come insieme coordinato ed integrato di regole e incentivi, per garantire a tutti l’accesso ad un cibo sano, buono, pulito e giusto, per chi produce e per chi consuma. Le politiche alimentari non si meritano un posto di rispetto all’interno delle strategie nazionali e locali. Esistono politiche agricole, politiche commerciali, sanitarie, ambientali, urbanistiche e territoriali, ma nessuna vera strategia orientata al nutrire. Solo politiche orientate al produrre e al regolare l’uso delle risorse per produrre. Eppure il cibo è un bene primario, mangiare riguarda tutti, ogni giorno. E si consideri che il problema del cibo non è risolto neppure nel “ricco” occidente. Quasi il 50% delle malattie cronico-degenerative (alcuni tumori, malattie cardio-vascolari, diabete, obesità) sono legate agli stili di vita ed in particolare agli stili alimentari e, oltre al rischio per la salute umana, curare queste patologie è un costo consistente per la Sanità. Ma soprattutto sapere quello che si mangia è un diritto di tutti, è un esercizio quotidiano di democrazia, un esercizio prezioso perché ha a che fare con uno degli atti piu’ importanti e piu’ universali per l’Essere Umano. Noi invece, neppure in Italia, sappiamo quel che mangiamo, almeno per il 95% dei consumatori, quelli che non appartengono a “nicchie” informate e benestanti.
Questa rubrica affronterà, con l’aiuto di vari esperti, l’attualità politica e legislativa agro-alimentare che tocca da vicino i cittadini e di cui si hanno poche informazioni, cercando anche di dare notizia delle iniziative in atto.
Apriamo i lavori con il “TTIP” (Transatlantic Trade and Investment Partnership): il Partenariato Trans-Atlantico per il commercio e gli investimenti.
Il TTIP è un accordo commerciale tra l’Unione Europea e gli Stati Uniti. L’obiettivo principale è quello di favorire commercio reale ed investimenti tra i due continenti riducendo le tariffe in tutti i settori, affrontando il problema delle barriere doganali e limando le differenze nelle regolamentazioni tecniche. Secondo il Centre For Economic Policy Research di Londra il TTIP comporterebbe l’incremento dello 0,5% del PIL europeo, pari a 545€ in più annui per ogni famiglia.
Per quanto riguarda il settore agricolo il rapporto della Direzione Agricoltura della Commissione Europea sottolinea che il TTIP comporterebbe per l’UE un aumento delle esportazioni, soprattutto per quanto riguarda i prodotti lattiero caseari, vitivinicoli e per zucchero e biodiesel. Fin qui tutto bene, quello che preoccupa invece sono le conseguenze negative nel caso in cui l’accordo non vedesse una convergenza regolamentare che avvicini la produzione USA a quella dell’UE.
Negli USA infatti l’utilizzo di OGM, antibiotici, ormoni e ractopamina per accelerare la crescita dei bovini, di trattamenti per debellare gli agenti patogeni nella carne, di pesticidi ed additivi alimentari, rappresentano strumenti usuali ed il principio di precauzione cui si affida l’UE è sostituito da mere prove scientifiche che non sempre sono in grado di garantire la sicurezza del prodotto. Senza contare la regolamentazione sull’etichettatura di tali prodotti che dovrà seguire protocolli bilaterali e si rischia di non avere chiara evidenza sull’etichetta della presenza di OGM, ormoni e antibiotici, che negli USA non devono essere obbligatoriamente indicati.
In ultimo va sottolineato l’alone di mistero che accompagna il TTIP. Risulta infatti molto difficile reperire informazioni dettagliate attraverso l’utilizzo di canali ufficiali o indipendenti. Il Partenariato viene spesso citato sia come esempio positivo per una nuova prospettiva di crescita, viene infatti definito da un lato la più grande area di libero scambio della storia, da un lato osteggiato in quanto rischioso per l’UE. Se infatti le aziende europee potrebbero avvantaggiarsi da un aumento dell’area di libero scambio perché piu’ competitive in qualità (ma non in quantità e costi) nei confronti di quelle americane, d’altro canto l’apertura ai prodotti ed ai metodi di produzione alimentari degli USA comporterebbe rischi potenzialmente gravi per la salute dei cittadini e la democrazia alimentare .
L’accordo è in corso di negoziato e fin ora si sono svolti sette round, l’ultimo dei quali a Chevy Chase (USA) tra il 29 settembre ed il 3 ottobre dell’anno in corso. I lavori sono stati inaugurati il 14 giugno del 2013 sulla spinta del Summit EU-US svoltosi nel novembre 2011 il cui tema centrale è stato quello di identificare politiche in grado di creare lavoro, crescita economica e competitività internazionale. Per quanto riguarda l’UE le trattative sono svolte da un Gruppo consultivo temporaneo, costituitosi nel gennaio 2014, composto da 14 esperti portatori di interesse per il settore dei servizi, finanziario, sanitario, agricolo, industriale, sindacale e delle associazioni consumatori.
Vi terremo al corrente.
Rubrica sulle politiche alimentari
A cura di Elena Di Bella e del Forum Agricoltura provinciale